Dopo la Brexit, che fine faranno i cittadini dell'Unione Europea residenti nel Regno Unito e i cittadini del Regno Unito residenti nell'Unione Europea? A più di cinque mesi dal referendum, nessuno lo sa. Eppure è una questione che riguarda più di cinque milioni di persone. Al momento, però, governo britannico e UE sono impegnati in un braccio di ferro che non lascia sperare in una schiarita in tempi brevi. La Premier Theresa May in Parlamento dice di non avere nessuna intenzione di dare rassicurazioni ai cittadini UE se prima dalla UE non arrivano rassicurazioni a proposito dei cittadini britannici.

Da parte sua, il polacco Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo, fa sapere che la Ue non può e non vuole affrontare l'argomento prima dell'attivazione dell'articolo 50 da parte del governo britannico e il conseguente avvio dei negoziati tra le due parti.

Tusk: "Situazione creata dalla Brexit"

Insomma, un cul de sac niente male, fra l'altro in un momento di grande tensione tra Gran Bretagna da un lato e 27 dell'Unione Europe dall'altro. La diffidenza reciproca è sempre più chiara. Martedì, un gruppo di 80 parlamentari conservatori ha scritto una lettera aperta in cui viene stigmatizzato l'atteggiamento del francese Michel Barnier, capo negoziatore sulla Brexit per la UE, a loro avviso restio ad affrontare la questione e perciò responsabile del sentimento di incertezza e di angoscia che milioni di persone stanno vivendo dalle due parti della Manica.

A rispondere è stato Tusk. Che, invece del fioretto di solito usato in diplomazia, ha deciso di utilizzare la clava. “Argomento interessante - si legge nella missiva del politico polacco - peccato che non abbia alcuna attinenza con la realtà”. Se milioni di persone vivono nell'angoscia e nell'incertezza, prosegue Tusk, è solo perché il Regno Unito ha deciso di lasciare la UE con la Brexit.

L'unico modo per scacciare le paure e i dubbi di tutti i cittadini interessati è l'avvio il più rapido possibile delle trattative sulla base dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona” è la conclusione. Va ricordato che l'articolo 50 può essere attivato solo e soltanto dal paese che vuole lasciare, in questo caso la Gran Bretagna, e non dall'Unione Europea.

May: “Niente rassicurazioni senza reciprocità”

La mancanza di diplomazia di Tusk, per quanto giustificata sul piano formale e sostanziale, non ha ovviamente contribuito a rasserenare gli animi. In Gran Bretagna, gli euroscettici più accesi l'hanno accolta con sdegno misto a furore. La May, invece, ne ha approfittato per respingere la proposta dei laburisti, che le chiedevano di giocare d'anticipo e dare subito rassicurazioni sul futuro ai cittadini UE residenti nel Regno Unito come gesto unilaterale di buona volontà prima dell'apertura delle trattative. Secondo la Premier, però, seguire questa strada, senza alcuna certezza di reciprocità, significherebbe abbandonare al loro destino i cittadini britannici residenti sul continente.

A meno di sorprese, la questione non sarà affrontata prima della prossima primavera, cioè quando Theresa May chiederà l'attivazione dell'articolo 50. Ed è ovviamente impossibile sapere quando e soprattutto se il problema sarà risolto durante i negoziati. Per mesi e forse anni, dunque, milioni di persone continueranno a vivere nell'incertezza. Sarà per questo che le domande per la “permanent residence” nel Regno Unito sono triplicate in un anno: dalle 37,618 del giugno 2015 si è arrivati a quota 100 mila quest'estate. Considerando che, secondo studi recenti, i cittadini UE in Gran Bretagna sono circa 3.9 milioni, è probabile che le richieste di cittadinanza e di residenza siano destinate ad aumentare.

Il che, secondo Madelene Sumption, direttrice del Migration Observatory presso l'Università di Oxford, per il Ministero dell'Interno, che già è in arretrato col lavoro, potrebbe diventare “un incubo dal punto di vista logistico, burocratico, amministrativo e legale”.